Lunedì, 23 Marzo 2020 18:52

Decreto Cura Italia: requisizioni in uso o in proprietà, contratti e tutela giurisdizionale

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Il periodo di emergenza giustifica anche l’applicazione, a determinate condizioni e per un tempo limitato, del Codice dell’Ordinamento Militare e di alcuni istituti in esso contenuti come la requisizione di beni mobili e immobili. Oltre alle questioni di carattere sostanziale si pongono anche questioni di carattere processuale che si risolvono in entrambi i casi in giustificate limitazioni dei diritti.

Il periodo di emergenza che il Paese sta vivendo ha portato il legislatore a dover adottare misure particolarmente importanti al fine di arginare la diffusione del virus.

Gli interventi, partiti ormai dalla dichiarazione dello stato di emergenza internazionale del 31.01.2020, pronunziata in pari data con la delibera del Consiglio dei Ministri (G.U. n. 26 01.02.2020), si sono succeduti nel corso di queste ultime settimane e sono sfociati nel noto Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 c.d. “Cura Italia” all’interno del quale sono state previste numerose misure tese a supportare il sistema sanitario, giudiziario, economico, lavorativo, sociale del Paese in questo periodo di gestione dell’attuale fase particolarmente complessa.

A questo proposito, merita una particolare menzione l’art. 6, rubricato “Requisizioni in uso o in proprietà”, che consente al Capo del Dipartimento della protezione civile di disporre la requisizione in uso o in proprietà, da ogni soggetto pubblico o privato, di presidi sanitari e medico-chirurgici, nonché di beni mobili di qualsiasi genere.

L’ablazione è soggetta ad un presupposto funzionale, nel senso che può essere impiegata per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria, anche per assicurare il rifornimento di strutture e di equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere ubicate sul territorio nazionale, nonché per implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da patologie derivanti dal contagio virale, nonché ad un limite di durata, potendo protrarsi per un periodo non superiore a sei mesi (suscettibile, però, di essere differito sino all’esaurimento dello stato di emergenza, ad oggi fissato al 31 agosto 2020).

La requisizione, nel nostro ordinamento, è prevista, al vertice del sistema delle fonti, dall’art. 42, comma 3, Cost., che, nel disciplinare la più ampia fattispecie dell’espropriazione, la condiziona alla ricorrenza di motivi di interesse generali, alla promulgazione di una legge o atto avente forza di legge che la preveda ed al riconoscimento, in favore del titolare del diritto, di un’indennità, che, secondo l’insegnamento proveniente dalla Corte Costituzionale, deve essere serio, congruo, adeguato e non meramente simbolico (sentenze n. 138 del 6 dicembre 1977n. 58 del 6 marzo 1974n. 63 del 28 aprile 1970n. 115 dell’8 luglio 1969n. 22 del 9 aprile 1965n. 91 del 18 giugno 1963).

Il diritto comune, invece, si occupa (invero marginalmente) della questione all’art. 835c.c., il quale, dopo aver stabilito che “quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili. Al proprietario è dovuta una giusta indennità”, al secondo aggiunge che “le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali”.

La norma privatistica, quantomeno ad un esame letterale, sembrerebbe garantire il proprietario in misura persino più accentuata della disposizione costituzionale (cronologicamente posteriore), poiché pone i requisiti della gravità e dell’urgenza quali presupposti imprescindibili per la compressione del diritto dominicale.

Con tutta verosimiglianza, ciò è dipeso dalla diversità fra i valori etico-politici espressi dalla Costituzione rispetto al Codice Civile con riferimento al bilanciamento fra diritti individuali ed aspirazioni della collettività: se per questo l’utilità sociale segna unicamente il limite estrinseco della proprietà privata, per quella ne costituisce addirittura la funzione intrinseca, ovverosia il fine che deve necessariamente contribuire ad attuare.

Tornando al Decreto “Cura Italia”, ad un’analisi di primissima approssimazione, emergono talune perplessità nella lettura dell’art. 6, comma 9, che così dispone: “in ogni caso di contestazione, anche in sede giurisdizionale, non può essere sospesa l’esecutorietà dei provvedimenti di requisizione di cui al presente articolo, come previsto dall’art. 458 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66”, che contiene il “Codice dell’Ordinamento Militare”.

Tale rinvio è spiegato dalla naturale propensione del predetto apparato normativo a regolare misure emergenziali e a giustificare, in presenza di tali eccezionali circostanze, la limitazione dei normali diritti della persona e del cittadino: non è un caso, al riguardo, che il codice militare sancisca l’operatività della requisizione in caso di guerra ovvero, appunto, di grave crisi internazionale (art. 315, comma 2°).

Se l’evocazione del codice militare, astrattamente considerata, appare comprensibile e condivisibile, non altrettanto rassicurante è il riferimento all’art. 458 di tale compendio normativo, richiamato allo scopo di disciplinare i ricorsi giurisdizionali e, nella sostanza, per escludere che possa essere cautelarmente sospesa l’esecuzione del provvedimento amministrativo di requisizione.

L’art. 458 C.O.M., infatti, è inserito all’epilogo di un titolo dedicato alla requisizione di una serie di beni per la locomozione (cavalli, muli ed altri veicoli da soma, veicolo ordinari a trazione animale, veicoli a motore a trazione meccanica, biciclette d’ogni sorta, natanti d’ogni specie) che, con tutta verosimiglianza, non serviranno all’ente pubblico per combattere l’odierna epidemia, la quale, per ovvie ragioni, esigerà la temporanea apprensione di attrezzature sanitarie, come presidi ospedalieri, equipaggiamenti medici, strumenti chirurgici e, comunque, gli oggetti necessari per l’esecuzione di diagnosi, cure e terapie.

Atteso che le norme sulla requisizione sono di stretta esegesi e non sono suscettibili, pertanto, di rimaneggiamenti interpretativi in sede giudiziale, sembrerebbe che il combinato disposto dell’art. 6, 9° comma, del Decreto “Cura Italia” e dell’art. 458 C.O.M. escluda il potere/dovere del giudice di sospendere cautelativamente i provvedimenti di requisizione soltanto per l’ipotesi in cui essi incidano sui beni per la locazione, confermandolo, invece, per tutti i casi in cui riguardino altri beni, fra i quali, appunto, gli strumenti sanitari.

La paradossale conseguenza interpretativa potrebbe essere prevenuta in sede di conversione in legge del Decreto “Cura Italia”, estendendo il richiamo all’art. 397, 2° comma, C.O.M., contenuto nella sesta sezione, che detta disposizioni comuni in materia di requisizione di beni mobili e immobili di cui all’art. 371 C.O.M.

In ogni caso, la trattazione dell’istanza di inibitoria è riservata dall’art. 85 del decreto “Cura Italia” al giudice amministrativo con decreto pronunziato dal Presidente del Tribunale competente ovvero da altro giudice da lui delegato, mentre la trattazione collegiale dovrà essere fissata ad una data immediatamente successiva al 15 aprile 2020.

Giova altresì sottolineare che la requisizione attribuisce al proprietario il diritto ad un indennizzo, che sarà pari, in caso di requisizione in proprietà, all’interno valore del bene e, in ipotesi di requisizione in uso, ad un quarantaduesimo di detto valore per ciascuno mese di durata del provvedimento.

La requisizione in uso si converte automaticamente in requisizione in proprietà qualora, entro il termine di sei mesi dall’apprensione del bene ad opera della pubblica amministrativa, esso non sia restituito al proprietario nel luogo in cui è stato prelevato e nello stato in cui si trovava precedentemente, salvo che l’interessato non acconsenta alla proroga del termine.

In ipotesi di conversione della requisizione in uso in requisizione in proprietà, a prescindere dalla causa che l’ha determinata, il proprietario, ovviamente, avrà diritto ad una maggiorazione dell’indennizzo, pari alla differenza fra quella prevista per il caso di espropriazione e quella già riscossa per il mancato uso.

Da ultimo, occorre spendere qualche parola sulle sorti dei contratti che abbiano ad oggetto il bene requisito, ad esempio il leasing contratto per la sua acquisizione.

Visto che, con riferimento a tale questione, non si verte in ipotesi di definizione dei presupposti legittimanti la requisizione (da interpretarsi in chiave letterale), ma di determinazione delle conseguenze giuridiche che ne derivano, non è così azzardato immaginare che possa applicarsi in via analogica l’art. 398 C.O.M., il cui contenuto è bene riportare per esteso:

“L’ordine di requisizione risolve di diritto qualsiasi contratto che ha per oggetto il bene requisito, se l’esecuzione del contratto non è compatibile con l’esecuzione dell'ordine di requisizione. L’ordine di requisizione libera di diritto il proprietario da qualsiasi obbligazione nei confronti di terzi. La risoluzione dei contratti non dà luogo a rimborso di spese né a risarcimento di danni a favore di chiunque.

Se la requisizione cessa prima della scadenza convenuta o prorogata del contratto, il contraente che aveva l’uso o il godimento del bene requisito ha diritto a riavere tale uso o godimento, fino al termine convenuto o prorogato del contratto, alle stesse condizioni precedenti, salve le modificazioni legali eventualmente intervenute”.

Qualora il conduttore finanziario sia in bonis rispetto al pagamento al pagamento delle rate esposte nel piano di ammortamento, non sembrerebbero emergere difficoltà interpretative: in caso di requisizione in proprietà, il bene viene sottratto al locatore finanziario, il quale potrà pretendere l’indennizzo dalla pubblica amministrazione, da commisurarsi al valore residuo del bene, mentre nulla potrà rivendicare dal conduttore finanziario; in ipotesi di requisizione in uso, il conduttore finanziario viene privato del diritto di godimento sull’oggetto e riceverà un indennizzo che impiegherà per pagare le rate (qualora esso non fosse sufficiente, egli non sarà tenuto al risarcimento del danno, ossia al pagamento degli interessi, visto che l’inadempimento e/o il ritardo è dipeso da causa di forza maggiore ex art. 1218 c.c.).

Delle problematiche potrebbero manifestarsi, invece, qualora il conduttore finanziario, al momento della requisizione in proprietà, si trovi in una situazione di morosità: in questo occorre domandarsi se l’estinzione del contratto produca o meno la liberazione del conduttore finanziario dal dovere di corrispondere gli interessi moratori già accumulati.

La risposta parrebbe negativa in virtù del principio di irretroattività degli effetti prodotti dalla risoluzione del contratto a prestazioni continuative e/o periodiche, stabilita dall’art. 1458 c.c. e non derogata, nella specie, dalla legislazione speciale.

Da ultimo, è ragionevole interrogarsi su quale sia il soggetto legittimato a concedere la proroga della requisizione in uso ovvero ad esigerne la trasformazione in requisizione in proprietà, con ogni conseguenza in punto di indennizzo, laddove il termine semestrale per la restituzione del bene nello status quo ante non sia rispettato. Al riguardo, sembrerebbe che il proprietario non possa essere privato di tale diritto, visto che esso risulta estraneo al ventaglio di facoltà di godimento che il locatore trasferisce provvisoriamente al conduttore.

Ogni valutazione, però, è resa estremamente incerta e problematica dall’eccezionalità del fenomeno, con cui il giurista, in epoca repubblicana, non si è mai confrontato e che è costretto ad affrontare in difetto di precedenti giurisprudenziali che ne sappiano indirizzare le soluzioni interpretative.

 

Avv. Giuseppe CAPONE

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